Anche questa volta sono sceso alla fermata sbagliata del 15. Via Saponaro è lunga e se arrivi fresco fresco da Napoli può capitare. Se lo rifai dopo vent’anni che vivi a Milano, un po’ meno.
La prima volta che presi il 15 stavo andando a casa di zio Rocco. Arrivavo all’ombra della madonnina in cerca di lavoro. Con un carico di disperazione e un senso immane di sconfitta. A Napoli non ce l’avevo fatta. Dopo la laurea, tutto quello che avevo trovato era stata una serie di lavori in pizzerie e ristoranti, alcuni neanche pagati. Non ho mai visto le graduatorie dei concorsi a cui avevo partecipato e l’unica alternativa per cercare di fare qualcosa di buono era fuggire. Io non scelsi di andare a Milano, decisi solo di scappare da Napoli.
Zio Rocco mi venne incontro. Vidi da lontano i suoi capelli bianchi. Mi abbracciò forte. Tirò dalla tasca un carnet di biglietti. “Così puoi muoverti liberamente” disse.
Mi mise un tetto sulla testa e mangiai alla sua tavola. Zia Silvia era la più affettuosa delle mamme. Mi preparò un piatto di pasta fatta a mano. Mi fecero sentire a casa. “Sei mio nipote” – mi disse un giorno – “non c’è bisogno di ringraziare”.
Iniziai subito a comprare giornali per cercare lavoro. Zio Rocco mi accompagnò in piazza Duomo. Mi raccontò cose che solo adesso potevo capire. Per lui, arrivato 50 anni prima dalla Basilicata, con le valige di cartone, Milano era l’America. “Non puoi non volere bene a questa città, se ci vivi, ci lavori e ti accoglie. Saresti un ingrato”. Quelle parole me le ripetevo tutte le volte che mi assaliva la voglia di ripartire. Parlammo tanto in quel periodo. Spesso mentre era intento a riparare orologi nel suo stanzino. Vederlo mentre ascoltava la musica degli ingranaggi aveva qualcosa di magico. Grazie a lui capì che Milano era bella. Che valeva la pena fare il possibile per meritarsela.
Andai a lavorare in un call center. Quando tornavo tardi, zia Silvia era sveglia ad aspettarmi, la cena in caldo e un grande sorriso ad accogliermi. A queste persone devo tanto. Gente normale, ma straordinaria per integrità e principi morali: la famiglia, l’onestà, il lavoro.
Dopo qualche mese, ero pronto a spiccare il mio volo.
A distanza di vent’anni sbaglio nuovamente la fermata del 15 e oggi zio Rocco non mi viene incontro. Lui non c’è più. Questa volta lo raggiungo io per un ultimo saluto. Con sé porta tante storie che adesso non potrà più raccontare. Lascia i suoi amati orologi che ora non avranno più nessuno in grado di capirli. Lo ringrazio ogni giorno, quando entro nella mia casa e lavoro nel mio ufficio. Quando mi sento stanco e quando sono felice. “In quarant’anni di lavoro come metalmeccanico ho preso solo tre giorni di malattia” mi disse un giorno con orgoglio. Zio Rocco mi ha insegnato ad amare Milano, a non abbassare mai la testa, ad essere fiero delle mie radici ma continuando ad andare avanti e mi ha lasciato qualcosa di molto prezioso. Un carico di affetto che resterà vivo per sempre e che vorrei essere in grado di condividere proprio come ha fatto lui…